Editoriale

Quanto tempo è trascorso da quei lontani anni Settanta, quando iniziai a occuparmi di paranormale. Il mio era un interesse, potrei dire, culturale, condito da una certa attrattiva che il mistero comporta.

Allora la morte era un qualcosa di lontano, di estraneo. Dei quattro nonni tre non c’erano più, ma l’anagrafe giustificava gli eventi, ed essi apparivano naturali, non pesavano, e non invadevano la mente. Qualche altro parente era morto: tutti anziani, o troppo lontani per coinvolgermi.

Prima di loro anche un ragazzo era morto, uno di quelli con cui talvolta avevo giocato a pallone. Mi è dispiaciuto molto, ma dopo qualche giorno non ci pensavo più. In fondo, lo conoscevo appena.

Poi, per molti anni, mi interessai alla medianità. Studiai molto questi insoliti fenomeni, e partecipai a innumerevoli sedute. Ebbi modo, anche grazie a numerosi congressi ai quali partecipai presto come relatore, di conoscere anche tante persone che avevano vissuto tremendi lutti familiari.

Loro cercavano, nel paranormale, una consolazione, un "contatto"… Per me era solo motivo di studio e di ricerca. Anni dopo dirò "anche di crescita interiore". Ma la morte era ancora, per me, un qualcosa di estraneo.

Rispettavo le loro convinzioni, spesso le loro illusioni, talvolta criticavo certi ciechi fideismi, ma mi commuovevo quando riuscivano ad avere dei "segni" dai loro cari.

Trascorse altro tempo, e la morte iniziò a farmi visita in modo più assiduo. Chiamò a sé i miei genitori, anziani ma non ancora troppo vecchi per rendere ragione del loro addio. Nel frattempo volle con sé più volte il bambino non ancora nato. Uno soprattutto, al quinto mese: si sarebbe chiamato Luca. Quella volta credevo proprio di diventare padre, ma così non doveva essere…

Poi la morte diventò insaziabile e ancora più ingiusta: e così iniziai anch’io a far parte di quella schiera di persone che ha vissuto dei lutti pesanti…

Ne ho scritto in due editoriali, di Daniela e di Lidia. Dopo aver dedicato un precedente editoriale alla scomparsa di mia cognata, ricevetti una bella ed edificante lettera. In un certo senso, è un po’ come una risposta che arriva quando non vogliamo accettare più nessuna "spiegazione".

Il lutto che ha travolto la lettrice, e ne sono convinto anche se questo mi è stato evitato, è il peggio che possa capitare: la morte del figlio. Ogni parola appare stonata, stridente, vacua… Non c’è una "mezza misura" di fronte a tanta tragedia: solo un grande coraggio interiore dà la forza di continuare a vivere.

Caro Stefano, ho appena ricevuto la rivista "lettere e scritti", mi ha colpito al cuore il tuo scritto i riguardo al trapasso di tua cognata.

Mi chiamo Raffaella, la sera dell'8 ottobre 2001, mio figlio Filippo è ritornato alla casa del Padre di tutti, se ne è andato coi suoi 25 anni e con un pezzo del mio cuore e di quelli che lo hanno amato ed erano in tanti. Lui era un ragazzo straordinario. Sono fortunata perché la fede non mi ha abbandonata, dandomi la forza di continuare la mia vita cercando di aiutare tutti i suoi amici, la sua ragazza e i parenti. Ora che un po’ di tempo è passato da quella sera tutti siamo più sereni, certi della vita oltre la vita. I segni che abbiamo ricevuto sono inequivocabili.

Nei sogni mi parla e mi aiuta nei momenti più disperati, con la metafonia abbiamo avuto messaggi di conforto meravigliosi e qualche evento eccezionale ci ha lasciato tutti a bocca aperta. Ma quante volte ci siamo fatti le domande che tu scrivi nel tuo articolo, quante volte mi sono chiesta: ma che senso ha, mio Dio, questa vita nella sofferenza, per arrivare a godere della tua luce; allora non basta un cammino nella fede, e in una vita fatta di comprensione, di piccoli gesti altruistici verso il prossimo, cercando di mettere in pratica l'insegnamento Cristico.

Ma la tua nipotina ci insegna. Anch'io come lei ho affidato Filippo a Gesù, e più che al mio dolore ho pensato al disagio che Filippo poteva trovare in una morte così rapida, ho continuato a parlargli come quando era qua, ho così avuto le mie risposte che mi hanno scaldato e mi scaldano il cuore.

Ho capito che la chiave è l'accettazione, certo non toglie la nostalgia di non poterlo più abbracciare, di parlargli, ma rende il dolore più calmo, e così vivo giorni sereni e meno disperati. Ci sono verità che la nostra mente non può capire, la nostra essenza chiusa in questo involucro, non riesce a trasmetterci tutta la sua conoscenza. Ogni giorno la nostra fede è messa a dura prova, a volte arriviamo così sfiancati che non ci resta nemmeno più la forza di pensare. Ma tu ascolta la tua nipotina e attraverso lei potrai ricominciare ad avere fiducia in questo cammino. Scusami Stefano se mi sono permessa questa lettera, ma chi soffre il dolore del distacco lo sento mio fratello.

Ti abbraccio, Raffaella.

Poi, a seguito di una mia risposta con riferimenti personali, Raffaella ha aggiunto altre parole, che ci inducono a riflettere.

Quando sento di essere stata di "aiuto" anche in maniera lieve, a chi prova il disagio del vivere, il mio cuore sorride, anzi, è come se ancora Filippo mi sorridesse, e questo mi dà il senso della vita. Siamo qua in questa valle di lacrime a fare esperienza, e abbiamo il dovere di sostenerci l'un l'altro, regalandoci quando è possibile pillole d'amore, quell'amore cosmico che Gesù ci ha insegnato.

Sarò solo onorata se tu vorrai pubblicare la mia lettera, sai, nei miei messaggi di metafonia Filippo mi dice sempre che devo raccontare il mio sentire e la mia comprensione di Dio. Pubblicando la mia lettera accontenterai anche Filippo e lui ne sono certa ti soffierà un vento di forza per i giorni futuri. Vedrai che tua cognata Lidia sarà vicino alla sua bimba, credici con tutto te stesso e i segni arriveranno presto. Per te che hai intrapreso un cammino di conoscenza spiritualistica, non suoneranno nuove le mie parole, ma ricordati Stefano che il Signore non ci lascia mai soli.

Cara Raffaella, come già ti dissi, ammiro la tua forza e il tuo coraggio! E’ il trovare il "senso della vita", come suggerisce una recente canzone, anche quando la vita, un senso non ce l’ha… o non l’ha più!

E’ il mistero che si perpetua da sempre, e da sempre l’uomo soccombe, o vince la morte con la fede, e la speranza. E’ un cercare di comprendere quel qualcosa, che realizzeremo compiutamente soltanto quanto sarà il nostro momento, e lo verificheremo di persona.

Ecco, così avevo concluso il pezzo, mentre il computer con cui scrivo era ancora acceso, poco dopo mezzanotte, 2 aprile 2006. Come ho già detto altre volte, in un periodico gli articoli si scrivono mesi prima rispetto all’uscita del giornale. Ebbene, da poco ho ascoltato l’efferata notizia, propalata da tutte le reti televisive, della morte assurda e bestiale del piccolo Tommaso, l’ennesima "dimostrazione" della totale assenza di Dio in troppe nostre miserrime vicende umane. In questo momento non ho voglia di pensare, non ho più voglia di scrivere, non ho più voglia di trovare un senso dove non c’è…

Cara Raffaella, io non credo che il Signore non ci lascia mai soli; al contrario, penso che ci lascia soli quasi sempre… E forse proprio questa dev’essere la nostra prova e la nostra speranza: trovare in noi stessi la forza di continuare, nel ricordo dei nostri cari scomparsi, e per i nostri cari che ci sopravviveranno.

Stefano Beverini