Editoriale

Anche Lidia se n’è andata. Non pensavo di dover affrontare un’altra morte di una giovane, a me cara, così vicino nel tempo. Lidia era mia cognata; se n’è andata in modo atroce: i suoi quarantasei anni non sono valsi a fermare la mano del destino, o quella di Dio.

Già, e Dio, dov’era? Domanda banale, retorica, senza risposta. Come banale è il dire che non se lo meritava: ma il suo compagno, i suoi fratelli, le sue sorelle e chi la conosceva sa quanto ingiusta sia stata la sua morte, anche per ciò che qui non posso dire. Muoiono più agnelli che capre… diceva sua madre tanti anni fa, in dialetto calabrese.

Ma Lidia aveva una figlia, di dodici anni. I giorni che precedettero la fine, mia moglie ed io abbiamo portato Stefania con noi, per allontanarla un poco dalla disperazione degli ultimi istanti. Ebbene, ogni sera, prima di addormentarsi, senza che noi nulla le dicessimo, la bambina pregava Gesù, e gli chiedeva di guarire la sua mamma. Implorava a voce alta, e involontariamente ascoltavamo: era straziante.

"Chiedete e vi sarà dato", "Bussate e vi sarà aperto", "Lasciate che i bambini vengano a me…" "Io vi dico in verità, che se non siete mutati, e non divenite come i piccoli fanciulli, voi non entrerete nel regno dei Cieli". Ci ha detto che dobbiamo chiedere con il cuore puro, con il cuore di un bambino. E Stefania è esempio di innocenza. Tutte le sere bussava alla porta del Signore, e il Signore non le ha aperto. Ed è questo che non riesco ad accettare: il "menefreghismo" di Dio di fronte alle suppliche di una innocente.

Proprio in un recente editoriale, prima che si verificasse questa tragedia, commentando eventi apocalittici come lo tsunami, mi chiedevo dove fosse il Signore, e menzionavo alcuni terribili esempi nella storia dell’umanità. Poi aggiungevo che ognuno di noi ha vissuto almeno una tragedia sulla propria pelle, nella quale si è strozzata in gola la medesima domanda, rischiando di soffocarci, di uccidere la nostra speranza nello Spirito. E aggiungevo come il Cristo medesimo, nel suo calvario, gridò "Signore, perché mi hai abbandonato?" Ribadivo come persino Lui, che molti insegnano esserne il figlio, non fu immune dall’angoscia di questa terribile domanda: perché il Signore sembra totalmente assente, disinteressato, cinico?

Siamo forse tutti dei topi in gabbia in un grande laboratorio, e a turno veniamo crudelmente eliminati da un Essere che di assoluto manifesta solo crudeltà? Affermare questo, è come bestemmiare: ma qual è la differenza tra bestemmiare o lodare Dio se egli non ascolta? E, ribadendo quello che mi sono chiesto altre volte, siamo solo fatti di carne destinata a marcire? Siamo solo destinati a trasformarci in orribili mostri senza vita, per poi annullarci totalmente nella polvere?

Chi mi legge sa che sono sempre stato uno spiritualista, che ho sempre affermato come noi vediamo solo il lato materiale delle cose. Che ho equiparato la vera ipocrisia alla nostra laicità. Che ho sostenuto che anche quando sembra persa la fede per qualsivoglia religione, sommessamente percepiamo un qualcosa in noi, quella religiosità laica che sussurra i dubbi alla mente meccanicista, quel salvagente che ci impedisce di affogare quando abbiamo smarrito tutte le certezze, quel quid spirituale duro a morire.

Quante volte ho citato indizi a favore della sopravvivenza, menzionando gli studi che mi hanno affascinato per tanti anni, coinvolgendomi ancora: fenomeni paranormali, la grande medianità, telepatia, chiaroveggenza, precognizione, apparizione di defunti, fenomeni di sdoppiamento e di premorte (OBE ed NDE), psicocinesi, infestazioni, e tanto d’altro ancora, a indicare appunto quel quid che trascende il piano fisico… Oltre l’impermanente e l’effimero, ho più volte detto: come fare una sbirciatina dal buco della serratura.

Ho anche sostenuto che tutte le religioni e le grandi tradizioni, che si perdono nella notte dell’umanità, abbiano da sempre insegnato l’esistenza dello "spirito". E poi la filosofia e le culture umanistiche, e anche alcune espressioni della scienza contemporanea, soprattutto indirizzata allo studio dell’intima struttura della materia che appare energia organizzata in modo intelligente. Come le più attuali espressioni del pensiero scientifico, che insegnano l’universo essere energia che si "materializza" solo in presenza dell’osservatore; o le leggi quantistiche, di tipo probabilistico, espressioni di campi di forze incompatibili con i concetti meccanicistici di causa e di effetto; oppure i principi della vita biologica di tipo finalistico, che contraddicono la stessa entropia…

Ma tutto ciò non basta, suona come stonato, come un gioco dialettico: la "verità vera", quella che tocchiamo con mano, quella che ci fa "vomitare" ogni buona intenzione, è che Lidia non c’è più. E con quale coraggio posso argomentare al marito disperato che la vera vita, in realtà, è quella dello spirito? E cosa dirò a sua figlia oltre le attuali bugie del cielo, delle stelle, o del paradiso?

Un tempo affermavo che se crediamo alla sopravvivenza dei nostri cari, il dolore che ci distrugge dentro può solo far male a chi ci ha preceduto e ora ci osserva da altre dimensioni. Ma oggi so che il dolore fa male soprattutto a noi stessi, al nostro desiderio di annullarci perché forse tutto sarà annullato, alla nostra dichiarata impotenza di fronte alla vita e alla morte, al nostro odio del divino…

Subito dopo la morte di Lidia, mia moglie ed io abbiamo nuovamente ospitato Stefania per qualche giorno. La sera, prima di addormentarsi, come il solito la bambina recitava le sue preghiere ad alta voce. Ora le sue parole erano cambiate, ora chiedeva a Gesù di fare stare bene la sua mamma in paradiso. Ascoltarla era ancora più straziante di prima.

La sua innocenza le ha dato oggi una certezza. Ma Stefania non sa che la sua certezza di oggi svanirà domani, e domani quando sarà una donna adulta, sarà duro accettare quello che è accaduto. E ancora più duro sarà credere ancora in un Dio…

Oggi, vorrei essere io a ritrovare l’innocenza del fanciullo che prega Gesù di fare stare bene la sua mamma in paradiso, a ritrovare quella certezza sulla natura "extrafisica" dell’essere umano e sulla continuità della coscienza, e quella speranza in una vita futura. Proprio recentemente ho ribadito la nostra consapevolezza che solo quando rinunceremo a questa speranza saremo veramente morti, anche nello spirito; ma di fronte a tali tragedie, nello spirito mi sento agonizzante…

Allora, dal più profondo, da un qualcosa che ancora ci emoziona, di fronte a tutto ciò che è perso, senza profferire altre parole, anche se privati di ogni certezza, sento che una sola cosa giusta è rimasta da fare: farsi piccoli piccoli, mettersi a fianco di Stefania, e pregare con lei. Oggi so che non servirà a cambiare le cose, ma ancora voglio pensare che ci sentiremo meglio dentro, se avessimo ancora voglia di provarci…

Stefano Beverini