Editoriale

Come ho già scritto in precedenza, la nostra vuole essere una rivista di cultura, certamente non accomunata forse a nessun altro periodico per l’originalità dei contenuti. Gli addetti ai lavori sanno che le riviste come la nostra hanno tempi di lavorazione predefiniti, diversi da quelli dei periodici dinformazione: questo editoriale lo scrivo oggi, ma Voi lo leggerete fra circa tre mesi. Ma c’è un evento di cui posso parlare perché è sempre attuale, anche tra cent’anni, ahinoi! Questo evento è la guerra.

Della guerra ne tratta in questo numero un nostro collaboratore in un dotto articolo: educare alla pace! Questo è il messaggio, espresso in modo diverso, estraneo alle pastoie e alle strumentalizzazioni politiche, da una parte o dall’altra.

Ne voglio riparlare, forse in modo un po’ crudo e controcorrente. Ma questo è un argomento che non ammette tepidezza, né compromessi con la propria coscienza, né ipocrisia.

Le guerre oggi nel mondo sono innumerevoli, eppure proprio con ipocrisia le definiamo "crisi" o usiamo disparati "eufemismi" per descriverle, oppure e più semplicemente ce ne dimentichiamo.

La stessa ipocrisia di quando abbiamo esaltato Simona Pari e Simona Torretta ("le due Simone"), e non spendiamo neppure un rigo o una parola per chi offre il proprio volontariato per i malati di Alzheimer, o per gli anziani e i bambini abbandonati o malati di casa nostra. Ma non voglio criticare: la dedizione per il prossimo può esplicarsi in un luogo che offre una "visibilità televisiva", oppure nella riservatezza che la carità in senso Cristico impone: non sappia la mano destra quello che fa la mano sinistra… Certamente è più gratificante la prima "opzione".

La stessa ipocrisia di quando parliamo di terrorismo e non capiamo che abbiamo di fronte una nuova guerra di religione: un fondamentalismo simile a quello che animava la cristianità medioevale, ma di diversa matrice, anzi, di opposta radice storica.

La stessa ipocrisia di quando non vogliamo comprendere come l’efferatezza di una decapitazione lenta sia un rituale simbolico, prettamente religioso, anche se per noi "demoniaco". Come lo stesso kamikaze sia l’attore di un altro rituale che lo porterà dritto per dritto presso Allah, nel suo paradiso. E nelle sue stolte convinzioni.

Il terrorismo è un’altra cosa, è l’estremizzazione della politica: questo è fondamentalismo, l’estremizzazione della religione.

Ma la vera ipocrisia sta nel non voler accettare che tutto ciò non possa uccidere lo spirito. Sta nel non capire che oltre il corpo mutilato e dilaniato, oltre quei corpi senza testa, in un piano più "sottile", vi sia lo spirito, integro, bello, luminoso…

La vera ipocrisia è la nostra laicità.

Stefano Beverini