Editoriale

 

Quando comprese di aspettare un altro figlio, non sapeva se gioirne o rattristarsi per le nuove difficoltà che l’aspettavano. Non era facile, per un contadino del Pakistan, "sbarcare il lunario", come si dice da noi. Ma in fondo al cuore era felice, e accolse Iqbal come fosse il suo primo figlio. Quel giorno del 1982 fu un giorno di festa.

Le cose però non andavano bene in casa Masih. La miseria del Pakistan ti divorava, dopo qualche anno non ti era rimasto neppure il sentimento di padre. Iqbal Masih venne venduto, a un commerciante di tappeti. Aveva quattro anni.

Fino a dieci anni fu costretto a lavorare tutto il giorno, incatenato come quei cani che ancora oggi ho visto nascere e morire alla catena, nutrito per quel poco che fosse sufficiente per non morire.

I migliaia di nodi che doveva fare tutti i giorni per tessere quei tappeti deformarono le sue mani, l’impossibilità di movimento gli impedì il suo sviluppo fisico.

A dieci anni venne comprato da Ehsan Ulla Khan. Questi non era il solito mercante di schiavi: era il fondatore del Fronte di Liberazione. Ehsan è riuscito a liberare, in Pakistan, oltre tremila bambini schiavi. Ma per quanti non ha potuto far nulla…

Iqbal rivelò una straordinaria vitalità intellettiva: sebbene giovanissimo, riuscì ad avere un ruolo importante nel Fronte di Liberazione. In pochissimo tempo si fece conoscere nel Pakistan per la difesa degli schiavi bambini, tanto da essere invitato in Europa e negli Stati Uniti. Alcune nazioni, a seguito del suo esempio, vietarono l’importazione dei tappeti pakistani.

Questo non piacque ai grandi produttori locali, che decisero di recidere alla radice ciò che poteva rappresentare un danno economico: il giorno di Pasqua del 1995 Iqbal Masih venne assassinato. Non aveva ancora tredici anni!

In molti paesi è divenuto il simbolo della lotta alla schiavitù dei bambini, perché in molti paesi, ancora oggi, esiste la schiavitù.

Inutile aggiungere che gli assassini sono rimasti impuniti. Questo non è un racconto a lieto fine, e purtroppo è una storia maledettamente vera. I nomi e i fatti non sono inventati: sono reali.

Questa è una vicenda che deve farci riflettere, è una storia che mi ha fatto pensare, che mi ha messo "in crisi", che mi ha preso lo stomaco… E con questa storia voglio farvi gli auguri per le feste che stanno per sopraggiungere. Voglio accostare l’immagine di questo martire all’opulenza a cui siamo più avvezzi.

E come disse Qualcuno, cerchiamo di tornare "fanciulli dentro"… Buon Natale!

Stefano Beverini